Ricordo di Joseph Tusiani un anno dopo di Francesco Lenoci*

“Di fronte a chi decide di amare, non c’è morte che tenga”.  È un pensiero che applico da tanti anni a un grande profeta: don Tonino Bello. È un pensiero che applico dall’11 aprile 2020 anche al grande Poeta Joseph Tusiani.

Ho reso omaggio a Joseph Tusiani in tanti luoghi e in varie occasioni. Anche a Milano, presso il meraviglioso Circolo Filologico Milanese, in occasione della presentazione della sua autobiografia edita da Rizzoli “In una casa un’altra casa trovo”, il 30 novembre 2016. Quella sera lessi una sua poesia intitolata “La Scienza”, una poesia di stupefacente attualità.

Nascere è il primo e l’ultimo mistero:

vale per me e per ogni universo

creato a splendere e spegnersi,

dopo cento miliardi di secoli

o appena dopo una minima vita di giorni.

Ecco, già nati non per nostro merito,

per un motivo siam parte del mondo

e per un altro motivo siam gli uni

dagli altri esseri vivi assai diversi,

più che pietra da pietra, erba da erba,

e da galassia altra galassia errante.

Ed è nata così l’umana scienza,

che dei remoti sovrumani mondi

non saprà nulla mai, e sol di questi,

a noi vicini, può scrutare nuove

cellule e nuove molecole arcane.

Ora lo so: altro non è la scienza

che il balbettio di un’umile preghiera,

eterna e giornaliera, alla ricerca

di un Dio che umanamente si diverte

nel farsi, giorno dopo giorno, ancora

comprender sempre più dal Suo creato.

Quella relazione la inviai il 1° dicembre 2016 a Joseph Tusiani, che così mi rispose con e-mail del 5 dicembre 2016: quattro giorni dopo.

Carissimo Francesco,

mi sembra di averti ringraziato per il bellissimo intervento meneghino al Circolo Filologico la scorsa settimana.  Se non l’ho fatto, mi scuso con questi versi che cantano (spero) l’immagine divina nell’uomo.

Un abbraccio,

Joseph

UMOR NERO

In giorni che a me paion cupi e bui

ho tanta voglia, se nessun mi ascolta,

d’interrogare stelle, fiori, fiumi,

uccelli, rupi e ogni creata cosa,

sullo strano perché dell’umor mio

subitamente mutato. Mi turba

ammettere che tutto è bello intorno,

anzi più bello e più festivo e lieto,

e alcun motivo non trovo che esista

tanta distanza tra il mio stato e il cielo.

Sento che l’uomo che ero più non sono,

ed il pensiero d’una età lontana

la mente più non guida né soggiòga.

In mio soccorso chi viene? Chi scioglie

dagli occhi miei la tenebrosa benda

e riveder mi fa la gran bellezza

che non s’è mai da me allontanata?

Chi mi farà toccar quasi con mano

l’immensità dell’universo, un nulla

se all’immagine mia lo paragono?

Splendi più viva, o già radiosa luce,

e al mondo di’ chi veramente sono.

L’ultimo verso di Joseph Tusiani in questa meravigliosa poesia che esalta l’immagine divina dell’uomo: “Splendi più viva, o già radiosa luce, e al mondo di’ chi veramente sono”……. Ebbene, confesso con grande emozione e commozione che ho provato a dire chi era veramente Joseph Tusiani addirittura in occasione del nostro primo incontro.

Ho incontrato Joseph Tusiani il 30 settembre 2010 presso il Teatro del Giannone a San Marco in Lamis: uno dei giorni indimenticabili della mia vita. Quella sera conclusi il mio intervento pronunciando le parole che seguono.

Con riguardo alla monumentale opera di Joseph Tusiani ho capito una cosa fondamentale e mi piace rivelarla presso un Teatro collocato in una Scuola.

Non è importante la lingua in cui scrive (inglese, latino, italiano o dialetto garganico), non è importante il posto in cui ambienta la vicenda (San Marco in Lamis, New York, una nave . . . .): l’essenza del tutto è che ciò che scrive proviene da un “Professore”, vale a dire da un Uomo che ha coniugato attitudine, istruzione, preparazione e determinazione per “professare”, al meglio, la sua materia.

E la sua materia è la vita:

  • quella che c’è dentro secoli di fatti, conoscenze, poesie;
  • quella che non smette mai di stupire, perché rinnova senza soluzione di continuità lo stupore sia nel docente che nei discepoli;
  • quella che rende possibile avere i piedi nel borgo e la testa nel mondo;
  • quella che consente al docente e ai discepoli di fare strada insieme;
  • quella che va incontro a “l’infinito” che sta oltre “la siepe” dei banchi, delle cattedre, dei computer.

Era il 30 settembre 2010. Eravamo all’interno di un Teatro collocato in una Scuola.

E veniamo al teatro dell’assurdo che va in scena oggi, che vede, quali vittime sacrificali del contrasto alla pandemia in Puglia e nell’Italia intera, proprio il Teatro e proprio la Scuola. Potrai mai perdonare la tua Patria, Joseph?

Certo che si, perché così hai scritto.

Ho l’Italia nel mio cuore

la sublime patria mia.

All’Italia va il mio amore

con questa nuova poesia.

Joseph, te lo chiediamo in coro: scrivila al volo questa nuova poesia e trova il sistema per farla arrivare alla tua Italia, al tuo Gargano, alla tua San Marco in Lamis.

Grazie Joseph, grazie di cuore.

*Docente Università Cattolica del Sacro Cuore – Milano

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